Seduti, immaginiamo, già lo siete. Allora, se ne avete in casa, stappate una bottiglia di vino, per il momento una qualsiasi, versatevene un bicchiere e preparatevi, se ne avete voglia, a quattro chiacchiere introduttive ad un corso di degustazione che vi accompagnerà nel magico mondo del vino.
Magico lo consideravano già i popoli delle epoche più antiche: l'ebbrezza fornita dal vino veniva infatti considerata come un avvicinamento alle divinità. Non vogliamo in questo contesto ubriacarvi, ma al contrario farvi scoprire il vino dalla sua giusta prospettiva, togliendolo dai luoghi comuni che lo vedono come inseparabile compagno di "beoni" o, all'opposto, prodotto di élite per la gente più snob.
Vogliamo trasmettervi l'amore per questo prodotto che nasce dalla terra e che vanta radici antichissime. Farvi scoprire che un bicchiere di vino rappresenta il lavoro dell'uomo, della sua lotta con - e talvolta contro - la natura. Spiegarvi come, dove e quando viene prodotto. Insegnarvi a riconoscere le caratteristiche del vino dal colore e dall'odore ancor prima di assaggiarlo. Suggerirvi come, quando e con cosa berlo. In sintesi, fornirvi una cultura, se non "mostruosa", quasi sicuramente sufficiente per farvi capire molte cose e sapere esattamente cosa state bevendo.
A proposito, cosa c'è in una bottiglia di vino: per la maggior parte acqua (78-85%) e sostanze dal sapore dolce (tra cui alcoli e zuccheri). In parte minore altre centinaia di sostanze che sono responsabili del carattere distintivo di ciascun vino e che possono essere scoperte con quello che viene definito esame organolettico. Un termine forse altisonante per un'azione che vi abituerete a fare ogni qualvolta assaggerete un bicchiere di vino, esattamente come probabilmente avete visto fare molte volte, magari schernendo chi, con attenzione, valutava il colore del vino, la sua limpidezza, cercava di ritrovare descrittori richiamando odori più o meno noti. Non è un gioco, o meglio, lo può diventare, ma con un suo preciso fondamento. Dal colore di un vino si può capire l'età, lo stato evolutivo, così come dai profumi che emergono si possono intuire la correttezza di un vino, il vitigno, le tecniche di vinificazione. Il rimando a odori conosciuti è semplicemente un modo per richiamare elementi dell'immaginario comune che in realtà corrispondono a sostanze chimiche ben precise: è più immediato affermare che questo vino sa di tabacco piuttosto che fornire la corrispondente sostanza responsabile dell'aroma di tabacco.
Valutare poi la qualità del colore, dei profumi e del gusto - insieme a molte altre cose - lo imparerete seguendo questo breve corso, ma potete, anche da subito, imparare la prima regola: se il colore è bello, limpido, i profumi puliti, piacevoli e il gusto gradevole, quello che state sorseggiando è già un buon vino.
Se, supponiamo, è stato facile per l'uomo della preistoria apprezzare il frutto commestibile della vite, gustandone gli acini, sicuramente casuale è stata la scoperta che il succo di quel frutto, dimenticato in qualche rudimentale contenitore, poteva trasformarsi e assumere un gusto diverso; ma, soprattutto, quella strana bevanda provocava piacevoli effetti, inebrianti in chi lo beveva. Per questo motivo, spesso in passato, il risultato della fermentazione del succo d'uva veniva usato come complemento a cerimonie religiose: in mancanza di nozioni scientifiche, le alterazioni provocate dall'alcol venivano infatti considerate in qualche modo "magiche", legate alle divinità.
Ma quando l'uomo si è "ubriacato" di vino la prima volta? La pianta rampicante Vitis Vinifera cresceva "già", in modo spontaneo, 300.000 anni fa come dimostrano diversi ritrovamenti archeologici. Le prime prove di vite "addomesticata" dall'uomo risalgono invece a circa 7-8 mila anni prima di Cristo: siamo in Asia, culla della viticoltura, in particolare in Transcaucasia, in Georgia e in Armenia. Da lì la coltura della vite migrò verso est, attraverso l'Asia, sino alla Cina. Solo in un secondo tempo la viticoltura si diffuse a ovest, e raggiunse l'Europa grazie ai Greci (siamo tra il 7° e l'8° secolo avanti Cristo).
A prendere la "staffetta" furono i Romani, che portarono la vite e il vino ovunque: le legioni dell'impero che giravano l'Europa continentale erano infatti obbligate a piantare nei loro accampamenti l'insalata (la "romana") e la vite. Il vino conosce con i Romani un vero e proprio boom, si sviluppa il commercio, iniziano gli studi sulla viticoltura; è di Plinio il Vecchio la prima "guida ai vini": nella sua Naturalis Historia individua 80 zone d'elezione e 185 vini, come si nota il concetto di "territorio" ha radici antiche.
Intanto i Galli intuiscono le proprietà della vite e del vino: inventano la botte in legno, strumento che rivoluzionerà il mondo enologico e sviluppano una varietà di vitigno più resistente al freddo grazie alla quale nacquero i vigneti di Borgogna.
Alla fine del III secolo d.C. le popolazioni di ceppo germanico spazzano via i Romani, insieme alla loro cultura, i loro ideali e le loro abitudini, incluse quelle alimentari. Frutta e verdura sono sostituite da carni, i banchetti diventano "roba da Barbari", il vino sostituito dalla birra e dall'idromele, tradizionali bevande fermentate del Nord Europa.
Si è già accennato poco sopra della nascita del Carmignano e del Chianti come elementi anticipatori delle attuali denominazioni di origine. E' altresì interessante accennare velocemente alle origini “moderne” di altri rinomati vini, italiani e stranieri, alcuni dei quali in passato ben diversi da come li conosciamo oggi.
Barolo
Vino conosciuto e apprezzato sin dall'epoca medioevale, è solo a partire da metà del XIX° secolo, per intervento dell’enologo francese Oudart e l'appassionata opera del Conte Cavour, che tale vino, da dolce e potenzialmente instabile, inizia a essere prodotto come vino secco, stabile e adatto all’invecchiamento.
Brunello di Montalcino
L'attuale Brunello nasce attorno al 1870 per opera di Ferruccio Biondi Santi che inizia a coltivare un clone di Sangiovese, chiamato Sangiovese Grosso o Brunello, particolarmente resistente alla filossera, producendo così un vino da monovitigno adatto all’invecchiamento. La denominazione italiana più conosciuta al mondo ha, però, una diffusione produttiva molto recente, considerando che sino agli anni '50 vi era un solo produttore che commercializzava vino con quel nome mentre al momento dell'uscita del primo disciplinare (fine anni '60) vi erano solo 13 aziende produttrici e poco più di 70 ha in produzione contro le oltre duecento aziende e i 1800 ha odierni.
Brunello di Montalcino
L'attuale Brunello nasce attorno al 1870 per opera di Ferruccio Biondi Santi che inizia a coltivare un clone di Sangiovese, chiamato Sangiovese Grosso o Brunello, particolarmente resistente alla filossera, producendo così un vino da monovitigno adatto all’invecchiamento. La denominazione italiana più conosciuta al mondo ha, però, una diffusione produttiva molto recente, considerando che sino agli anni '50 vi era un solo produttore che commercializzava vino con quel nome mentre al momento dell'uscita del primo disciplinare (fine anni '60) vi erano solo 13 aziende produttrici e poco più di 70 ha in produzione contro le oltre duecento aziende e i 1800 ha odierni.
Chianti
La nascita del Chianti si può far risalire all'opera del Granduca di Toscana Cosimo III°, che nei primi decenni del '700, in anticipo di due secoli e mezzo sulla nascita delle Doc, regolamenta aree di produzione e metodi di coltivazione e lavorazione di alcuni vini toscani, quali il Carmignano e, appunto, il Chianti. Il vero punto di svolta avviene, però a metà del XIX° secolo, quando il Barone Bettino Ricasoli propone la rinomata “formula del Chianti” (Sangiovese, Canaiolo Nero e Malvasia Toscana), rimasta immutata per un secolo e mezzo, e modificata, con la non obbligatorietà dell'utilizzo di uve a bacca bianca, solo da pochi anni.
Amarone della Valpolicella
Uno dei vini italiani di maggior successo al mondo non esisteva nemmeno sino a qualche decennio fa. O meglio, esisteva ma non era commercializzato con quel nome e, soprattutto, rappresentava spesso una sfortuna per l'incauto produttore che non riusciva a mantenere dolce il vino, come tradizione voleva per la produzione del Recioto della Valpolicella, ben più ricercato e remunerato. La versione secca, chiamata inizialmente “Recioto scapa'” e poco considerata, inizia a essere prodotta e commercializzata come Amarone della Valpolicella solo nella seconda metà del '900 passando da poche migliaia di bottiglie agli oltre 10-12 milioni previsti per le annate 2006 e seguenti.
Marsala
Come per il Porto, lo Jerez e il Madeira, anche il Marsala deve la sua diffusione a livello continentale ad opera degli inglesi. Fu infatti Woodhouse che, alla fine del XVIII° sec., iniziò a produrre a Marsala un vino sullo stile di quelli di Madera, Oporto e Jerez attraverso alcolizzazione e “concia” del vino (o mosto-vino), in base alle preferenze dei consumatori inglesi dell'epoca. Il suo esempio fu quindi imitato e perfezionato da Ingham e dal nipote Whitaker, a cui seguì l’italiano Florio e col tempo molti altri produttori.
Se è vero che l'origine della viticoltura è stata individuata in Asia, più o meno nell'area del Caucaso georgiano, è altrettanto vero che è l'Europa la regione che può vantare nei secoli la più forte tradizione vitivinicola. Prima in Grecia e, da lì, in Italia, in Francia, ma anche in Spagna e in Portogallo, la vite ha trovato felice dimora diventando nei secoli parte della storia, della cultura e delle tradizioni di questi paesi.
Le colonizzazioni hanno poi portato questa tradizione oltre oceano e sono diverse le nuove importanti realtà vitivinicole che si stanno sviluppando sia al Nord che nel centro-sud America; ma anche Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa si stanno imponendo come realtà emergenti nella produzione di vino, senza dimenticare le potenzialità di Cina, e in misura molto minore, dell'India. Ecco un breve giro tra le regioni vitivinicole del mondo. I dati sino al 2005 sono di fonte OIV, dati più recenti si basano su statistiche ISTAT o altre fonti.
Europa
Francia (47 milioni di ettolitri nel 2007 – 52,9 milioni di ettolitri media 2000-2005)
Eterna concorrente dell'Italia vitivinicola, la Francia vanta il maggior numero di vini a denominazione controllata al mondo (per l'elenco completo si suggerisce di consultare https://www.tigulliovino.it/francia/lista_aoc_francia.htm).
La vite è coltivata in tutto il paese, con zone "storiche" come
- la Champagne, patria delle rinomate bollicine ottenute da rifermentazione in bottiglia di vini base ottenuti da uve Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier,
- la Borgogna, terra dei grandi rossi a base di Pinot Noir e di splendidi e longevi bianchi a base Chardonnay,
- il Bordolese, famoso per i rossi prodotti dall'omonimo "blend" di uve Cabernet Sauvignon e Merlot, con prevalenza delle prime negli chateaux della Riva Sinistra della Garonne (Medoc) e delle seconde in quelli sulla Riva Destra (Saint Emilion e Pomerol),
- l'Alsazia, rinomata per i vini bianchi profumati da uve Riesling, Pinot Grigio, Moscato e Gewurztraminer,
- la Valle della Loira, produttrice di grandi bianchi, sia aromatici (da Sauvignon Blanc) che di grande longevità (da Chenin Blanc) che fragranti di lievito (i Muscadet sur lie), nonché di fragranti rossi a base Cabernet Franc,
- l'alta Valle del Rodano con i possenti vini rossi a base Syrah,
- il basso Rodano con vini multi-uvaggio a base Grenache, Cinsaut, Mourvèdre, Syrah ecc.
- la Provenza dai fragranti e freschi vini rosati, ma anche del rosso Bandol
- il profondo sud del Roussillon-Languedoc, nuova terra di frontiera, dove sperimentare ardite soluzioni con vini monovarietali o da inediti uvaggi.
Italia (42,6 milioni di ettolitri nel 2007 – 50,1 milioni di ettolitri media 2000-2005)
Nel 2006 la superficie vitata era pari a 713.819 ha, di cui 679.000 ha in produzione.
Tutte le regioni italiane vedono la presenza di migliaia di ettari a vigneto con peculiari vitigni.
Nel 2007 la regione a più alta produzione é risultata essere il Veneto con 7,8 milioni di hl, seguita da Emilia Romagna con oltre 6,2 milioni di hl, e quindi Puglia e Sicilia, rispettivamente con 5,7 milioni e 4,6 milioni di ettolitri (queste due regioni sono state però molto penalizzate dalla vendemmia scarsa).
L'Italia e le sue regioni vinicole:
Valle d'Aosta
Viticoltura "eroica" quella valdostana, dove si riesce a far grande vino nonostante le difficoltà (clima, orografia, terreni ghiaiosi) opposte dalla natura. Il freddo delle notti in quota favorisce però estrazioni di profumi inusitate, e gli impavidi autoctoni Fumin, Blanc de Morgex e Petite Arvine, allevati a Guyot per cogliere ogni possibile raggio di sole, si uniscono a Chardonnay e Gamay per donare gemme enologiche di grande spessore.
Piemonte
Alpi e pianura legati da grandi fiumi: questa la sintesi del vigneto piemontese, in cui le colline del Monferrato e le Langhe, con i loro particolari microclimi, rappresentano la variabile caratterizzante. Terra di Nebbiolo, grande padre di Barbaresco e Barolo, che racconta storie di altissimo valore enologico, ma anche di Barbera e Dolcetto, vitigni oggi rivalutati da una nuova ondata di giovani e innovativi produttori. Attenzione a Favorita e Timorasso (vitigno raro coltivato prevalentemente nel Tortonese), autoctoni emergenti, che insieme a Erbaluce e Arneis caratterizzano i bianchi di questa importante realtà enologica.
Lombardia
Grande la gamma di possibilità espressive di questa regione, segnata da alte montagne e ampie vallate ma anche da morbide colline digradanti verso i laghi, con climi e terreni assai diversi tra loro ed una forte caratterizzazione dei terroirs. Dalla Valtellina alla Franciacorta, dal Garda all'Oltrepo Pavese, Nebbiolo (qui Chiavennasca), Chardonnay, Croatina e Groppello contribuiscono a creare vini a volte discontinui ma spesso indimenticabili. La scelta di produrre in qualità sembra avere premiato i produttori in maniera chiara.
Trentino
Il vigneto trentino, avvinghiato ai terreni in declivio delle strette valli, gode di un clima temperato, aiutato dalla base rocciosa che evita i danni degli inverni rigidi, e da notti fresche, madrine di grandi profumi. In alcune realtà (pensiamo alla Piana Rotaliana o al Marzemino di Isera) si raggiungono vertici di qualità e tipicità in passato trascurati a vantaggio della quantità. Altro importante vitigno è il Teroldego, originario del veronese, diffusosi poi in Trentino dov'è largamente coltivato. Interessanti anche le realtà della Val di Cembra (habitat privilegiato del Müller-Thurgau) e dei grandi spumanti a base Chardonnay e Pinot Nero della D.O.C. Trento.
Alto Adige
Un vero giardino, il paesaggio rurale altoatesino, in cui la vite si ricava con maestria e ordine i suoi spazi: il risultato è una gioia per i nostri sensi. Alle pendici di montagne imperiose giacciono vigneti eleganti come i vini che producono, aiutati da un clima lieve e da escursioni termiche favorevoli all'estrazione dei profumi. Il luogo ideale per il "rubacuori" Pinot Nero ed i suoi fratelli Grigio e Bianco, ma anche per Chardonnay, Sauvignon, Gewürztraminer, Müller Thurgau e per autoctoni di prestigio come il Lagrein (principe dei porfidi bolzanini) o la schietta e beverina Schiava, per chiudere con l'emozionante Moscato Rosa.
Guarda il video esplicativo: Vini Santa Margherita: Alto Adige
Friuli Venezia Giulia
Quanta varietà di terroir in una regione tutto sommato poco estesa geograficamente! Pianure dai profumi marini, aspre montagne, morbide colline. Il tutto assistito da un concetto di qualità che i vignaioli friulani hanno nel sangue e di cui fanno una vera filosofia di vita. Terra di bianchi eccellenti, nei quali il vitigno, sia esso alloctono o autoctono, è portato al massimo della sua possibilità espressiva. Ma al fianco dei grandi Tocai, Chardonnay, Sauvignon e Ribolla si fanno largo rossi importanti come il Refosco dal Peduncolo Rosso e la locale versione di Merlot e Cabernet. Un'occhiata va data anche alla Malvasia Istriana, al Pignolo e al raro Picolit.
Veneto
Come in molte altre regioni, anche qui si sta cercando finalmente di far prevalere la qualità sulla quantità, con un lavoro in vigna ammirevole e con una rinnovata attenzione alle pratiche enologiche. Le uve venete sono assistite da un clima ed un territorio fra i più vari, con microzone vocate alla viticoltura che stanno puntando tutto sulla loro imperdibile tipicità. Così Valdobbiadene ed il suo Prosecco, così la Valpolicella (Amarone e dintorni..) ma anche Gambellara e la sua Garganega, Breganze ed il suo profumato Vespaiolo . In crescita il Veneto Orientale, con un occhio di riguardo al Malbech e al Refosco.
Secondo la legge 164/92 la piramide della qualità vedeva a partire dalla base sino al vertice le seguenti classificazioni:
- vino da tavola
- vino a Indicazione Geografica Tipica (I.G.T.)
- vino a Denominazione di Origine Controllata (D.O.C.)
- vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (D.O.C.G.)
- vino con indicazione di “sottozona” o di “vigna”
Mentre il vino da tavola è un vino generico, che deve rispettare le regole generali relative al vino senza però dover indicare provenienza, annata né vitigno (almeno sino al 2009), che quindi potrebbe provenire da qualsiasi tipo di uva e di origine, in quelli con indicazione geografica (Igt, Doc, Docg) vi è la precisazione della provenienza dell'uva ed eventualmente del vitigno (che deve essere per almeno l'85% di quella varietà). Già per i vini a Igt vi sono disciplinari di produzione che prevedono la zona di produzione, i vitigni da utilizzare, la resa massima di uva per ettaro, la resa di trasformazione in vino, il grado alcolico minimo naturale e al consumo; passando ai vini Doc tali parametri, normalmente più restrittivi degli Igt, ne vanno aggiunti di ulteriori in grado di garantire certezza di origine e di qualità chimica e organolettica, con attuazione di controlli molto più stringenti. Ecco che le aree di produzione sono definite con precisione, sono specificate tecniche agronomiche (sesto d'impianto, piante/ha, resa per pianta, percentuali dei singoli vitigni ecc.), tecniche di cantina (resa in vino, periodo di maturazione in legno ecc.), caratteristiche chimiche (estratto secco netto minimo, acidità totale, zuccheri residui) e caratteristiche organolettiche (colore, odore, sapore), oltre che i relativi controlli e analisi a cui devono sottostare per la conformità.
Per le Docg i parametri sopra indicati sono ancor più restrittivi delle Doc, vi è una doppia analisi organolettica (in produzione e in imbottigliamento), vi è obbligatorietà dell'utilizzo della fascetta con contrassegno dello Stato, rilasciate in funzione degli ettolitri prodotti.
In Italia sono attualmente (agosto 2008) previste:
- 40 DOCG;
- 317 DOC;
- 118 IGT.
"Il buon vino nasce in vigna": così recita un antico detto. E in effetti non c'è uomo, macchina o additivo che possa rendere un vino migliore rispetto alla qualità dell'uva raccolta. È in campagna, quindi, che si produce il vino, ancor prima che in cantina.
A giocare un ruolo fondamentale è quello che i francesi hanno felicemente definito terroir, termine esportato in tutto il mondo. Il terroir è un insieme di fattori geografici, climatici, geologici e biologici (il vitigno) unico e irripetibile. Allora, prima di imparare a conoscere un vino è importante conoscere le sue radici.
Più sei in basso più devi salire
Sapere, per esempio, che tutte le principali regioni viticole del mondo sono in paesi posizionati tra i 30 e i 50 gradi di latitudine, ovvero in zone dal clima temperato. In stretto rapporto con la latitudine va poi considerata l'altitudine sul livello del mare ideale per la coltivazione della vite. Come regola generale va tenuto presente che l'altitudine può essere tanto più elevata quanto più bassa è la latitudine. Esempio: le grandi vigne di Borgogna non superano i 50-60 metri sopra il livello del mare. In Cile, situato molto più in basso, i migliori risultati si ottengono a 600 metri sul livello del mare.
Sole e pioggia, nelle giuste proporzioni
Per portare le uve a un giusto grado di maturazione, la vite ha bisogno di un clima temperato, con un intervallo di temperatura ottimale per la fotosintesi che va dai 10° C. ai 30° C. (temperatura attiva). Ma ha anche bisogno di luce e di sole (mediamente richiede 1.300-1.500 ore annue) e di acqua (650-700 millimetri di piogge distribuite nell’arco dell’anno). È quindi preferibile una "distribuzione" omogenea durante l'anno dei fattori climatici: una maturazione costante, senza picchi di calore, così come le precipitazioni ideali dovrebbero avvenire in inverno e in primavera e, comunque, non durante la fioritura della vite né tantomeno in vendemmia.
Terreno o terroir
In realtà i due termini non sono per nulla sinonimi, essendo il terroir un concetto ben più ampio e complesso del solo terreno. Per terroir s'intende l'insieme delle condizioni pedologiche e mesoclimatiche che interagendo con uno specifico vitigno caratterizzano peculiarmente il vino testé ottenuto.
La definizione, che é alla base del sistema delle denominazioni di origine italiane, ma ancor più delle AOC francesi, origina dalla convinzione della peculiare influenza del luogo di origine sul vino ivi prodotto, sempre che le operazioni viticole ed enologiche siano state condotte con l'ottica della massima valorizzazione della materia prima uva. Genius loci, sense of place possono essere considerati sinonimi di terroir, tutti termini che sottolineano il forte legame col territorio di provenienza.
In questa definizione intervengo diversi elementi, quali:
Dimmi che terreno hai e ti dirò quale vitigno meglio si adatta: è una regola che i viticoltori conoscono da tempo come dimostrano le tradizioni vitivinicole di ogni regione. Premesso ciò va detto che la vite è in grado di adattarsi a tutti i tipi di terreno. Disturbiamo Mario Fregoni, ordinario di Viticoltura all'Università Cattolica S.C. Piacenza, uno dei "nomi" più importanti nel settore vitivinicolo italiano, che ha così sintetizzato e semplificato la correlazione tra terreno e vino:
- i terreni ciottolose-permeabili producono vini di qualità, alta gradazione alcolica, fini e intensamente profumati;
- da terreni sabbiosi si ottengono vini eleganti, delicati, profumati, di minore struttura, da consumarsi giovani;
- da terreni tendenzialmente argillosi si ottengono vini ricchi di estratto, morbidi, di buona acidità e serbevoli;
- i terreni pesanti e molto argillosi danno sì vini ricchi di estratto, aromatici e intensamente colorati, ma spesso disarmonici e grossolani;
- i terreni umidi producono vini di bassa gradazione, molto acidi, ricchi di sostanze proteiche;
- i terreni calcarei, fra i quali includiamo anche quelli marnosi, ricchi di sali minerali, e le terre rosse, generano vini di ottima qualità, molto alcolici, di buona struttura, di bassa acidità e profumati (e, se da marne, particolarmente sapidi);
- i suoli ricchi di humus non presentano particolari pregi, danno vini grossolani, instabili, poveri di estratto;
- i terreni acidi danno origine a vini fini, delicati, sapidi, anche se non eccessivamente ricchi di corpo e di colore.
Per saperne di più: terreni scissi e arenarie - video Youtube
Per saperne di più: terreni sabbiosi - video Youtube
A comandare il clima è madre natura ma l'uomo può però intervenire parzialmente sulle tecniche e sui sistemi di coltivazione. Sesto di impianto, selezione dei sistemi di allevamento, scelta dei portainnesti, scelta delle varietà, tecniche agronomiche (concimazione, inerbimento, lavorazione del terreno e potatura verde), sono solo alcune delle pratiche utilizzate dall’uomo per caratterizzare ed assecondare il terroir.
Le operazioni della fase viticola possono essere suddivise in due gruppi:
- operazioni di impianto e allevamento
- operazioni di produzione.
Operazioni di impianto e allevamento
Riguardano operazioni di impianto / rinnovo del vigneto e della sua gestione nei primi anni di vita. Fra queste possiamo annoverare:
- la scelta varietale e clonale: quale vitigno/clone si adatta meglio a questo terroir? Quale vitigno/clone è previsto dalla indicazione geografica comprendente il territorio in cui mi trovo? Quale vitigno sarà maggiormente richiesto nei prossimi anni?
- la scelta del portainnesto: quale portainnesto si adatta meglio al terreno e al vitigno prescelti? Come si dovrebbe comportare in termini quantitativi/qualitativi, ossia di vigore vegetativo e produttivo?
- la sistemazione e la preparazione del terreno: come devo approntare il terreno per un efficiente impianto?
- la forma di allevamento e la densità di impianto: quale forma di allevamento si adatta meglio alle caratteristiche comparate di vitigno, terroir e meso- e microclima?
Operazioni di produzione
Consistono nelle tecniche colturali utilizzate nella gestione ordinaria del vigneto allo scopo di giungere all'equilibrio vegeto-produttivo dello stesso. Le principali fra esse sono:
- la potatura invernale: determina la quantità di gemme (e quindi di frutti) potenziali;
- la fertilizzazione: utilizzata normalmente per aumentare la resa di uva
- la gestione del suolo e il diserbo: riguarda la scelta e le modalità di inerbimento nei e tra i filari;
- l’irrigazione: da effettuarsi solo in casi di necessità (siccità) in modo controllato.
Per saperne di più guarda il video: Loris Vazzoler: irrigazione
- la difesa fitosanitaria: insieme di interventi per evitare l’insorgere di malattie;
- le operazioni a verde: quali sfogliatura e cimatura per aumentare l'insolazione e la respirazione dei frutti, il diradamento per ridurre il numero di grappoli consentendo una maggior maturazione dei rimanenti;
- la vendemmia: la raccolta dell’uva quando questa ha raggiunto determinate caratteristiche fisico/chimiche
Alla ricerca del vitigno e del suo terroir
Ogni vitigno ha precise caratteristiche ed esigenze in termini di fattori geografici, climatici e geologici. Da sempre i viticoltori hanno compreso il preciso rapporto tra vitigno e il suo habitat ideale. Questo è, in forma estremamente sintetica, il concetto di "zonazione" del quale si sente tanto parlare in questi ultimi anni.
Come pure “terroir” é un termine sulla bocca di tutti, tanto da svuotarsi in molti casi del suo autentico significato, significato che da adito a diverse interpretazioni anche fra coloro che credono fermamente alla sua importanza.
Quello che troviamo in un bicchiere di vino non è altro che "succo" d'uva trasformato dalle fermentazioni, dalle lavorazioni di cantina e dal tempo. Come si è già detto non esiste tecnologia capace di trasformare un'uva mediocre in un grande vino, è quindi nella qualità dei grappoli che si possono trovare le premesse necessarie per produrre bottiglie di pregio.
È fondamentale la scelta della varietà che meglio si adatta in ogni contesto geografico e ambientale. È una scelta difficile per il viticoltore, che deve tenere conto anche delle tendenze di mercato, tentando di anticiparle (un nuovo vigneto inizia a produrre uve di qualità, per legge, non prima del terzo anno).
È importante scegliere il clone giusto, con il sistema di allevamento adeguato, ed eseguire tutte le operazioni nel vigneto in base alla produzione che si vuole ottenere. Il caso del Pinot Nero è esemplare per capire le diverse componenti che concorrono a una viticoltura di qualità. Questo vitigno, a bacca nera, è uno dei protagonisti dello champagne e di molti spumanti metodo classico. Ma è anche il vitigno da cui vengono prodotti vini rossi tra i migliori al mondo (le etichette della Borgogna, per esempio, ma anche molti prodotti italiani). Ovviamente, nel primo caso le uve saranno vinificate in bianco (ovvero senza la bucce, responsabili del colore dei vini) e nel secondo vinificate in rosso. I cloni non sono però gli stessi: esistono varietà di Pinot Nero indicate per la spumantizzazione, altre ideali per la produzione di grandi vini rossi. Nel primo caso i grappoli sono più grossi, con acini più grandi; nel secondo, al contrario, i grappoli hanno dimensioni ridotte e gli acini sono più piccoli con un più felice rapporto tra polpa e buccia: è in quest'ultima, infatti, che si nascondono per la maggior parte le sostanze fenoliche importantissime per i vini rossi.
Cambiano anche i sistemi di allevamento e le operazioni nei vigneti: per un vitigno destinato alla produzione di vino base per la spumantizzazione è possibile mantenere produzioni più elevate puntando su forme di coltura destinate a questo scopo. Per produrre grandi vini rossi bisogna invece puntare su sistemi di allevamento orientati ad ottenere basse rese, tentando di concentrare le sostanze su un minor numero di grappoli: nel suo ciclo vegetativo, infatti, la pianta della vite trasferisce al suo frutto un certo numero di sostanze: ne consegue che riducendo il numero dei grappoli si otterranno acini più ricchi. Usare il clone "sbagliato" modifica radicalmente il prodotto finale. Continuando con il nostro esempio, vinificando in rosso uve di Pinot Nero destinate alla spumantizzazione si otterranno vini scarsi di struttura, con poco colore, pochi tannini ed elevata acidità. Al contrario, la vinificazione in bianco di grappoli di Pinot Nero indicati per la produzione di vino rosso darà un vino base con scarsa acidità, elemento importante negli spumanti.
Un esempio valido per tutta la viticoltura: per ogni tipologia di vino esistono cloni adeguati e regole di coltura indicate. È fondamentale quindi definire una destinazione enologica per ogni vigneto e rispettarla. L'obiettivo in cantina, sarà quello di "non rovinare" la materia prima che la natura ha prodotto.
È l'appuntamento più importante dell'anno, la resa dei conti di 12 mesi di fatica. Scegliere il momento giusto per la raccolta non è facile.
Dipende, innanzitutto, dal vitigno, dalla zona e dalla destinazione enologica delle uve. Per le varietà il "testimone", che viene preso come riferimento, è l'uva da tavola Chasselas, che viene solitamente vendemmiata tra la fine di agosto e l'inizio di settembre. Parte così quella che viene definita la prima epoca vendemmiale di cui fanno parte i vari Pinot da vinificare in bianco, il Traminer, lo Chardonnay. Dopo circa 15 giorni parte la seconda epoca, che vede protagonisti altri vitigni a bacca bianca come il Sauvignon Blanc, il Moscato, il Riesling, il Sylvaner ma anche i primi rossi, come Cabernet Sauvignon, Merlot, Dolcetto. Ancora una quindicina di giorni e parte la terza epoca, periodo di raccolta per le uve Barbera, Lambrusco, Grignolino, Trebbiano, Sangiovese...
Sono ovviamente riferimenti puramente indicativi, soggetti a differenze tra zona e zona e tra annate diverse. Ancora più variabile la scelta del momento giusto per la vendemmia effettuata dal viticoltore in base al vino che vuole ottenere.
La maturazione dell'uva comporta un graduale aumento degli zuccheri (che verranno trasformati in alcol) e una conseguente diminuzione dell'acidità: sulla base di questa evoluzione il viticoltore compierà le scelte adeguate. Per esempio, chi vuole produrre un vino bianco da bersi giovane magari frizzante, che richiede una discreta acidità che servirà a renderlo fragrante, raccoglierà le uve precocemente, scelta che favorisce anche una maggior freschezza aromatica.
Dal lato opposto chi vuole produrre un vino rosso importante, destinato all'invecchiamento, si baserà soprattutto sulla maturazione polifenolica e sulla concentrazione zuccherina capaci di garantire struttura e complessità nel tempo. Un discorso a parte va fatto per le uve destinate alla produzione di vini da sovramaturazione o di vini passiti: in questo caso la raccolta viene posticipata per favorire una disidratazione dell'acino a vantaggio di un elevata concentrazione zuccherina.
Per stabilire il momento giusto per la vendemmia si procede al campionamento delle uve per seguirne analiticamente l’evoluzione degli zuccheri e delle acidità. In questa fase occorre porre particolare attenzione agli andamenti climatici in quanto piogge e umidità eccessive possono causare alterazioni negative sullo stato sanitario delle uve. Infatti muffa (botrytis) e marciume acido sono i responsabili fondamentali che influenzano fortemente la qualità della materia prima di partenza.
Recenti ricerche, come abbiamo già accennato, hanno individuato un altro elemento importante da prendere in considerazione nella scelta del periodo vendemmiale, in particolar modo nelle uve destinate ai vini rossi: è la maturazione fenologica, ovvero lo "stato di salute" dei polifenoli, indispensabili sostanze che conferiscono colore e struttura al vino rosso. L'equilibrio di un vino è infatti dato da diversi elementi combinati insieme: può quindi risultare controproducente raccogliere tardivamente un'uva per avere più zuccheri se questo protrarsi influisce negativamente sulla stabilità polifenolica.
I viticoltori più attenti alla qualità raccolgono le uve manualmente, in piccole cassette, in modo da poter fare una precisa cernita dei grappoli migliori ed evitare la rottura degli acini prima che l'uva arrivi in cantina. I sistemi di vendemmia meccanica possono essere usati solo in certi terreni e con certi sistemi di allevamento. Seppur in continua evoluzione, soprattutto in termini di cernita dei grappoli, non garantiscono la scelta qualitativa che solo l'attento occhio di un uomo può effettuare.
La composizione dell'uva e, conseguentemente, del mosto d'uva rappresenta il punto di partenza, e certamente il più qualificante, nella produzione del vino di qualità.
I componenti che costituiscono il mosto, ottenuto dalla spremitura dell'uva (pigiatura, pressatura, torchiatura ecc.), sono sostanzialmente gli stessi in tutti i casi; ciò che varia fortemente, dando origine così a materie prime completamente differenti, è la quantità di ogni costituente e la variabilità nei rispettivi rapporti, dipendenti dal grado di maturazione dell'uva, dall'area di coltivazione, dal clone e vitigno, dall'andamento stagionale, dalle tecniche colturali e dalle modalità di estrazione in funzione degli obiettivi enologici e commerciali.
A grandi linee, quindi, possiamo individuare i seguenti elementi:
Appena colta l'uva viene portata in cantina e, nel caso della vinificazione in rosso, pigiata e diraspata con apposite attrezzature estremamente attente a non rovinare l’integrità degli acini. E’ nella buccia, infatti, che troviamo i polifenoli nobili responsabili del colore e in parte della struttura del vino. Vengono normalmente eliminati, al contrario, quelli dei raspi e dei vinaccioli, aggressivi e causa di sensazioni organolettiche sgradevoli.
Il mosto viene poi trasferito nella vasca dove avverrà la fermentazione alcolica (fermentino), riempita per 4/5 della sua capacità. Viene poi aggiunta una giusta dose di anidride solforosa, che, oltre ad avere una funzione antiossidante e disinfettante, svolge anche un'azione solvente sulle sostanze coloranti contenute sulle bucce e una ulteriore attività selettiva sugli agenti di fermentazione.
L’attività dei lieviti (Saccaromices Cerevisiae) responsabili principalmente della trasformazione degli zuccheri in alcol determinano con questa reazione l’incremento della temperatura. Le moderne tecnologie permettono il controllo di questa (24 – 28 gradi C.) per assecondare la vitalità stessa degli agenti fermentativi e favorire la preservazione/formazione di aromi fragranti.
Altro prodotto della trasformazione è la produzione di anidride carbonica facilmente avvertibile grazie al gorgoglio del mosto. È questa la fase "tumultuosa" e le vinacce, spinte dal gas che si sviluppa, cominciano ad affiorare formando una stratificazione che viene chiamata "cappello". È necessario "rimescolare" continuamente questo ammasso di bucce per riportarle in immersione nel mosto agevolando così l’estrazione delle sostanze coloranti.
Per far questo si può ricorrere alle seguenti operazioni:
1- rimontaggio, attuato prendendo il mosto dal basso del serbatoio e portandolo con adeguate pompe nella parte alta dello stesso, rompendo così il cappello attraverso irrorazione dall'alto;
2- follatura, quando con apposite attrezzature (tipo pistoni, eliche o pale) si procede a una pressione meccanica sul cappello rompendolo in parti;
delestage, consistente nel trasferimento del mosto-vino in un serbatoio di appoggio e della reimmissione dello stesso nella vasca iniziale, dopo che il cappello si è depositato sul fondo.
3- Quando le quotidiane misurazioni (ne vengono solitamente effettuate una alla mattina e l'altra alla sera) mostrano che la percentuale di alcol contenuta nel vino è rimasta invariata, la fase di fermentazione é probabilmente giunta al termine. Questo accade normalmente quando tutti gli zuccheri fermentescibili si sono trasformati in alcol, ma è possibile che, nei casi di mosti molto zuccherini (uve passite), vi sia presente ancora una certa quantità di zuccheriche i lieviti, anche a causa dell’attività antagonista dell'alcol che hanno prodotto, perdono di efficacia e non sono più in grado di continuare il loro lavoro.
Il vino che è stato ottenuto risulta torbido e ricco di gas e vinacce. Bisogna dunque separare la parte liquida da quella solida. Questa fase si chiama svinatura. Al termine di questa operazione il vino, limpido e pulito, può essere trasferito in recipienti di acciaio, nel caso di un vino da consumarsi giovane, oppure in botti di legno se si tratta di vino da invecchiamento.
Quasi sempre, e certamente per i vini rossi destinati all'invecchiamento, alla fermentazione alcolica si fa seguire la fermentazione malolattica, processo che, trasformando l'acido malico in acido lattico (un acido più debole rispetto al primo), ammorbidisce il vino donandogli profumi più maturi e complessi.
Come già detto le sostanze coloranti di un vino sono in maggior parte nelle bucce: per ottenere un vino bianco è pertanto indispensabile separarle prima della vinificazione. Da ciò ne consegue che è possibile ottenere vini bianchi sia da uve a bacca bianca che da uve a bacca nera. Dalla buccia si possono estrarre, grazie a tecniche particolari, tipo la criomacerazione (macerazione condotta a temperature molto basse), le sostanze aromatiche primarie tipiche dei vitigni bianchi di pregio. Questo sistema prevede il raffreddamento della massa in maniera tale da inibire la fermentazione ma permette il passaggio di queste sostanze nel mosto. La pigiatura soffice permette inoltre di ottenere un mosto il più possibile “pulito”. Sarà poi la chiarificazione e una eventuale filtrazione o centrifugazione a renderlo limpido e pronto per la fermentazione.
Durante la fermentazione alcolica il serbatoio va riempito solo per i 45 della sua capacità totale, perché il gas, che si svilupperà durante questa fase, saturerà lo spazio rimasto sopra il mosto, proteggendolo dall'azione dannosa dell’ossigeno. La temperatura in questo frangente viene mantenuta, con l'utilizzo di speciali attrezzature, intorno ai 16°C - 20°C, quindi molto più bassa di quella utilizzata per i vini rossi.
È fondamentale, per garantire la finezza e l’integrità delle caratteristiche primarie del vitigno di origine, controllare attentamente tutto il processo fermentativo, attraverso i sistemi anzidetti ed, eventualmente, l’uso di lieviti selezionati specifici.
Per la maggior parte dei vini bianchi, almeno per quelli da pronto consumo. si impedisce lo svolgimento della fermentazione malolattica, che trasforma l'acido malico in acido lattico, allo scopo di mantenere freschezza aromatica e acidità vibrante.
Quando i lieviti hanno esaurito gli zuccheri contenuti nel mosto (tra i dieci e i venti giorni), il vino ottenuto viene passato in acciaio o in legno a seconda delle scelte produttive.
Prima dell’imbottigliamento il vino viene filtrato utilizzando attrezzature particolari che ne garantiscono la limpidezza e la pulizia, evitando così che batteri o cellule di lieviti indesiderati possano determinare fenomeni di rifermentazione.
Gli spumanti possono essere prodotti con due diversi metodi: quello classico (fino a poco tempo fa chiamato anche in Italia Champenois) che prevede una rifermentazione in bottiglia e quello Charmat o Martinotti, dove la rifermentazione avviene in autoclave.
Per entrambi i metodi la prima fase è quella di ottenere un vino base seguendo le tradizionali procedure della vinificazione in bianco. Sono diverse le uve che possono essere utilizzate per la produzione di vini spumanti sia a bacca bianca (come lo Chardonnay, il Pinot Bianco, il Riesling, il Moscato, il Prosecco), sia a bacca nera (come il Pinot Nero). Le uve destinate alla spumantizzazione vengono solitamente vendemmiate con un leggero anticipo sulla completa maturazione, per avere la massima fragranza degli aromi e una buona acidità che conferirà freschezza e serbevolezza al vino.
Nel metodo classico il vino base verrà poi posto in bottiglia, ove verrà avviata la rifermentazione, aggiungendo al vino base il "liqueur de tirage", ossia uno sciroppo a base di lieviti selezionati, zucchero di canna (fino a 24g/bottiglia dato che 4 grammi forniscono 1 atm circa di pressione) e sali minerali.
Una volta riempite, le bottiglie vanno chiuse con un tappo speciale, un cilindro disposto con l'apertura in basso verso il vino, chiamato "bidule", sopra il quale si applica il più noto tappo a corona. Le bottiglie vengono poi disposte in posizione orizzontale in cataste per la cosiddetta "presa di spuma" conseguente la rifermentazione che avviene in bottiglia.
Dopo circa 40 giorni questa fase sarà completata e quindi sarà stata raggiunta la pressione voluta, pari normalmente a 5 – 6 atmosfere: lo spumante sarà nuovamente secco e avrà una maggior gradazione alcolica. Al termine di questo periodo le bottiglie vengono spostate su degli appositi cavalletti in legno, fatti a forma di A maiuscola, con dei buchi per contenerle. Queste strutture si chiamano "pupitres" e hanno la funzione di sostenere le bottiglie da una posizione inizialmente orizzontale a una posizione verticale. Con l’operazione chiamata "remuage", che viene eseguita manualmente, si portano i lieviti concentratisi sul fondo gradualmente verso la bidule; tutto questo processo avviene lentamente e per molti mesi.
Subentra poi la fase del "degorgement" (sboccatura): il collo della bottiglia viene immerso in un liquido portato a -25°C. In poco tempo la parte immersa si congela e si forma un cilindro di ghiaccio contenente tutto il deposito formatosi nel tempo di maturazione sui lieviti. Si procede quindi meccanicamente alla stappatura con conseguente espulsione del cilindretto.
La bottiglia viene rabboccata utilizzando del vino base, precedentemente conservato, oppure aggiungendo il cosiddetto "liqueur d'expédition", cioè uno sciroppo zuccherino la cui composizione esatta è formula segreta di ciascun produttore. Nel primo caso, quando cioè viene aggiunto solo il vino base, lo spumante viene definito "pas dosé" o "dosage zero", nel secondo caso, si definirà “extra-brut” o “brut” a seconda della quantità di zucchero presente nel rabboccamento.
Ora si può applicare il tappo definitivo di sughero, subito coperto dalla gabbietta di metallo (habillage).
Charmat o Martinotti?
Con il metodo Charmat o Martinotti (c'è una disputa sulla paternità di questo metodo che pare essere stato inventato dall'italiano Martinotti e poi perfezionato, e registrato, dal francese Charmat) il vino base, addizionato di zucchero e di lieviti selezionati, viene immesso in autoclavi di acciaio inossidabile ermeticamente chiuse e resistenti alle alte pressioni. Dopo circa 10-15 giorni la presa di spuma è avvenuta e quindi occorre bloccare l'attività dei lieviti, e provocare la loro caduta sul fondo del contenitore, risultato che si ottiene portando la temperatura del vino da +14°C. a -4°C. Lo spumante viene lasciato per un periodo variabile da 1 a 6-9 mesi (nel secondo caso é chiamato Charmat lungo) sui lieviti per essere poi filtrato, pulito e passato in una seconda autoclave, chiamata iperbarica, dalla quale si procede all'imbottigliamento. Seguirà subito la tappatura e la gabbiettatura.
Per approfondire il metodo Charmat: Loris Vazzoler: metodo charmat - video Youtube
Prima della fermentazione alcolica il mosto è in sostanza acqua zuccherata. Sarà poi l'azione dei lieviti a trasformare questi zuccheri in alcol. Per ottenere vini dolci basta pertanto limitare questo processo. La tecnica più utilizzata è quella di interrompere la fermentazione quando si è formata la quantità di alcol desiderata con ancora una interessante quantità di zuccheri non fermentati. Si filtra il mosto con maglie molto sottili per trattenere i lieviti e si fa nuovamente partire la fermentazione: questa operazione va ripetuta più volte e diventa via via più debole e lenta.
Un discorso diverso va fatto per i vini passiti, che si ottengono mediante un appassimento, naturale o forzato, delle uve stesse che si arricchiscano così di zuccheri per effetto dell'evaporazione dell'acqua. Raggiunto l'appassimento desiderato, l'uva viene sottoposta a una vinificazione in bianco (o in rosso, se proveniente da uva a bacca nera) eseguendo una fermentazione piuttosto lenta e a basse temperature per non provocare alterazioni aromatiche. Anche la permanenza in cantina e quindi l'affinamento del vino richiederanno tempi alquanto lunghi. Questi tipi di vino potranno essere considerati maturi dopo tre-quattro anni.
Uno degli esempi più noti è il Vin Santo toscano che nasce dai migliori grappoli che vengono fatti appassire su stuoie o su graticci in genere in ambienti sottotetto, aerati in tutte le stagioni e soggetti ad ampi sbalzi di temperatura. La lunga maturazione avviene per almeno tre anni in piccole botti (caratelli).
Il Moscato rosa (un vino rosso dolce trentino e friulano), viene invece lasciato "sovramaturare" sulla pianta. La fermentazione alcolica avviene in recipienti di piccole dimensioni e, dopo lo svolgimento della fermentazione malolattica, il vino giovane viene addizionato di mosto concentrato per elevare il contenuto zuccherino. Il vino viene poi lasciato invecchiare in piccole botti per 2-3 anni.
Un discorso a parte va infine fatto per i vini cosiddetti botritizzati, cioè ottenuti da uve attaccate dalla Botrytis Cynerea o muffa nobile. Questo microrganismo produce trasformazioni all'interno dell'acino, tali da alterarne il metabolismo con un accrescimento notevole delle sostanze aromatiche. In alcuni casi per questi vini è possibile aggiungere alcol etilico o mosto concentrato per aumentarne la gradazione alcolica. La vinificazione è simile a quella per l'ottenimento di vini passiti.
Se per la fermentazione i serbatoi in acciaio sono diventati per praticità e igiene i più utilizzati, per la maturazione del vino il legno rimane sempre un materiale estremamente valido e assolutamente insostituibile. Le vasche inox, come pure i contenitori in vetro-resina o in cemento vetrificato, possono comunque servire per la conservazione o per mirate scelte produttive.
Le proprietà del legno
Come prima cosa bisogna considerare che non tutti i vini sono adatti all’invecchiamento in legno. Infatti quest’ultimo materiale, oltre al lentissimo scambio con l’esterno (microssigenazione), cede sostanze aromatiche e/o riconducibili alla famiglia dei tannini. Quindi certi vini, ottenuti da selezioni particolari, acquisiscono dalla permanenza a contatto con il legno elementi che conferiscono loro maggiore struttura, complessità e garanzia di tenuta nel tempo, oltre che specifiche note aromatiche.
E’ importantissimo in ogni caso il dosaggio di questo tipo di contatto per evitare l’eccesso di profumi del legno che coprano gli aromi primari del vino. Non solo l'origine del legno, ma anche il taglio, la stagionatura, la tostatura e persino il lavaggio influiscono sugli aromi che cederà al vino la botte, così per altre variabili fondamentali come la dimensione, la novità e la durata.
Botte grande o botte piccola?
La "mitica" barrique è una piccola botte con capacità di 225 litri. Di tradizione francese, solitamente viene costruita utilizzando legno di rovere di Allier, Limousin, Tronçais, Nevers, Vosges, del Massiccio Centrale Francese e, più di recente, rovere delle Rocky Mountains e anche legno proveniente dall’Est Europeo. Rispetto a una botte grande, normalmente in rovere di Slavonia, la barrique presenta maggiore superficie di contatto con il vino e quindi maggiore è anche l’interscambio con esso. Questo non vuol dire, però, che la botte piccola sia da preferire alla botte grande. Sta alla sapienza del cantiniere, in base alle uve a disposizione e alla loro destinazione enologica, "dosare" il legno, scegliendone la pezzatura, la tipologia e il tempo di affinamento.
Il tipo di legno
Esistono innumerevoli variabili nella produzione dei fusti che portano ad avere, di conseguenza, differenze, a volte anche notevoli, negli aromi che il legno cederà al vino. Va valutata, innanzitutto, la zona di provenienza: il terreno dove crescono i legni da destinare alle botti gioca un ruolo fondamentale negli aromi che un vino potrà acquisire. Nei terreni più leggeri, più umidi (per esempio in Limousin) si ottengono materiali più porosi, con tannini più aggressivi, indicati per i brandy. Al contrario terreni più calcarei (nel Allier, ma anche in Tronçais e Vosges) daranno legni meno porosi, più dolci.
La prima fase è la scelta del legno: qui è fondamentale l'esperienza del bottaio che dovrà scegliere la migliore qualità, puntando sui tronchi più dritti e con meno nodi. Dal tronco verrà effettuato il taglio per ottenere le assicelle: la tecnica migliore è quella dello spacco che, rispetto alla segatura, ha il pregio di preservare e rispettare l'integrità delle fibre del legno. Ottenute le doghe bisogna passare alla fase di stagionatura seguita poi dall’essiccamento, per diminuire il tenore di umidità iniziale di circa il 70%, improponibile per la buona tenuta dopo l'assemblaggio. L'essiccamento può avvenire all'aria aperta o in particolari locali, con ovvie differenze di tempo nell’asciugatura. In ambienti condizionati e ventilati si può raggiungere l'umidità desiderata in tempi brevi anche se occorre particolare attenzione per evitare che le fibre del legno perdano acqua troppo velocemente, con la conseguente formazione di fessurazioni più o meno grandi.
L'essiccamento naturale avviene "semplicemente" accatastando le doghe su un'ampia area all'aperto. La regola de-facto tra i produttori definisce il periodo di stagionatura minima in un anno di tempo per ogni centimetro di spessore dell'assicella. Ciò significa due/tre anni e oltre nel caso delle barrique. La stagionatura naturale, oltre a seguire un normale decorso di essiccamento, fa si che l’azione degli agenti atmosferici e dei microrganismi determini l’incremento della capacità del legno di rilasciare una infinità di sostanze aromatiche.
Molte sono le sostanze che compongono le differenti tipologie di vino, caratterizzandone di conseguenza le diverse espressioni sensoriali, a seconda non solo della quantità della loro presenza ma soprattutto delle reciproche interrelazioni, sostanze che sono conseguenze di molteplici fattori, quali vitigno, condizioni pedoclimatiche, tecniche viticole, tecniche di vinificazione ed elevazione ecc.
All'analisi fisico/chimica del vino possiamo riscontrare la presenza certa, ma a quantità variabile, di queste sostanze:
Punto di partenza dell'intero processo è la materia prima uva, da considerarsi nella composizione chimico - fisica al momento del raggiungimento della cantina e a seguito delle operazioni di trasformazioni in mosto. A partire da questo e a seguito della attività metabolica dei lieviti e dei batteri durante la fermentazione alcolica si ha il fondamentale passaggio del mosto in vino con formazione di alcol etilico, anidride carbonica, calore e altri composti secondari. L'eventuale fermentazione malolattica, la conservazione in legno e tutte la altre operazioni di cantina daranno a loro volta origine a ulteriori composti caratterizzanti in vario modo il vino.
Tra i principali componenti del vino, ritroviamo certamente
- alcol etilico
- zuccheri
- acidi
L'alcol etilico
Se escludiamo l'acqua, presente in media fra l'80% e 85%, e i vini passiti con residuo zuccherino maggiore ai 130-140 gr/litro, il maggior componente del vino è l'alcol etilico, compreso mediamente fra 11% e 14%.
La quantità potenziale di alcol etilico è sempre stata (ora un po' meno) considerata un fattore qualitativo, tanto da rappresentare la base per il calcolo del prezzo del vino sfuso, anche perché espressione del livello zuccherino dell'uva, a sua volta dipendente dal grado di maturità della stessa (ma anche dal vitigno, dalla zona di produzione ecc.).
Per il calcolo del grado alcolico complessivo occorre moltiplicare la % di zuccheri (fermentescibili) del mosto per un coefficiente pari a circa 0,6. In sostanza un mosto con 200 gr/l di zucchero, e quindi il 20% sul peso totale, dovrebbe dare a fermentazione completata un vino di circa 12%vol. (20x0,6). La % vol. indica la quantità di alcol in millilitri (centimetri cubici) contenuti in 100 millilitri di vino Il grado alcolico complessivo è dato dalla somma dell’alcol svolto e quello potenzialmente sviluppabile dalla fermentazione degli zuccheri fermentescibili ancora presenti (vini amabili o dolci)
Riflessi sensoriali
Se presente in misura elevata, l'alcol etilico provoca al naso una sensazione pungente. Al palato presenta un sapore tendenzialmente dolce e provoca, soprattutto se elevato, una sensazione pseudocalorica.
Gli zuccheri
E' l'elemento dominante nel mosto dopo la pigiatura dell'uva, laddove risulta normalmente presente in quantità variabile dai 160 ai 220 gr/litro, raggiungendo punte di oltre 300 gr./litro nel mosto ottenuto da uve passite. A seguito della fermentazione alcolica e dell'attività metabolica dei lieviti, gli zuccheri scompaiono quasi completamente, rimanendo in quantità inferiore ai 4 gr/litro per i vini secchi, mentre quantità più apprezzabili sono riscontrabili nei vini abboccati (fino a 12 gr/l), ancor più in quelli amabili (da 12 a 45 gr/l) sino a raggiungere una elevata presenza in quelli dolci (tenore zuccherino > 45 gr.l).
Riflessi sensoriali
La presenza degli zuccheri origina una sensazione particolarmente dolce, contrastando sia l'amaro che l'acidità, e aumentando la sensazione di corpo e morbidezza. Nel caso di vini propriamente dolci essa va riequilibrata da una spiccata acidità, pena una sensazione di stucchevolezza.
Nel misurare l'acidità del vino si fa spesso riferimento al suo pH. Tale indice misura quantità e forza degli acidi organici presenti nel vino in termini di ioni idrogeno liberati e quindi rappresenta una misura della forza acida “reale” di quel vino. Il suo valore può variare da 2,8-2,9 (acidità elevata) a 3,8-3,9 (acidità bassa).
Il pH ha di norma un andamento rinversamente proporzionale a quello dell'acidità fissa del vino (maggiore è quest'ultima e minore è il pH).
Riflessi sensoriali
Presenta gli stessi caratteri dell'acidità totale (non essendo altro che un modo diverso di misurarla) con sensazione di freschezza e leggera pungenza soprattutto sui bordi laterali della lingua, quando equilibrato (pH 3,1–3,4 per i bianchi, 3,4 – 3,6 per i rossi) e sensazioni di asprezza, crudezza, acerbità e durezza se il pH risulta molto basso, sensazioni di vino molle e piatto se pH troppo alto. Rappresenta inoltre un elemento rinforzante dell’astringenza del vino.
Se alcol etilico, acidi organici (fissi, volatili e pH) e (eventuali) zuccheri residui sono gli elementi primi da considerare nell'analisi chimica di un vino, vi sono molte altre sostanze che, pur presenti in quantità inferiore, giocano un ruolo fondamentale nelle caratteristiche gustativo/tattili del vino, influenzandone in maniera profonda la peculiare manifestazione sensoriale. Una analisi in grado di riassumere quantitativamente molte di queste sostanze (esluse l'acqua, gli alcoli, gli acidi volatili e gli aromi) è rilevata dall'estratto secco.
L'estratto secco
E’ determinato dall’insieme di tutti i componenti non volatili del vino (acidi fissi, polifenoli, glicerina, sali, pectine, zuccheri) e si misura in g/l di residuo fisso, considerando quindi ciò che rimane dopo aver sottoposto a evaporazione le sostanze volatili del vino.
Essendo l'estratto secco caratterizzato anche dalla presenza di zuccheri, per non fuorviare il dato in presenza di vini amabili e dolci, si preferisce parlare di estratto secco netto (estratto secco totale meno gli zuccheri). Valori interessanti di estratto secco netto si hanno a partire da 17-20 g/l nei vini bianchi e 25-27 g/l nei vini rossi, che rispetto ai primi presentano valori più alti per presenza di sostanze fenoliche.
Riflessi sensoriali
L'estratto secco è un parametro importante in grado di dare una idea di massima sullo spessore, sulla consistenza, sulla robustezza, sul corpo di un vino. Più esso è elevato e maggiore dovrebbero risaltare questi caratteri.
La glicerina
E’ un alcol che si forma naturalmente durante la fermentazione alcolica ma che ritroviamo in quantità elevata anche nelle uve passite. La sua concentrazione è funzione crescente in particolare di:
Il range di concentrazione va dai 2-3 g/l dei vini bianchi secchi, ai 7/8 gr/l dei rossi secchi sino ai 13-15 g/l nei vini da uve passite e botritizzate.
Riflessi sensoriali
E’ una sostanza dal gusto dolce (70% della dolcezza del glucosio) in grado di donare, quando presente in quantità medio/alta, una sensazione di morbidezza e di viscosità al vino.
Le sostanze fenoliche
Sono sostanze importanti che influiscono sia sugli aspetti visivi (colorazione) che su quelli gustativo-tattili dei vini (struttura, corpo, astringenza, amaro) del vino. Esse sono contenute nella buccia dell'uva e la loro presenza nel vino è funzione delle tecniche estrattive e di vinificazione. E' infatti il contatto più o meno prolungato del mosto in fermentazione con le bucce che ne determina il passaggio nel mosto e quindi nel vino, caratterizzandone la classificazione sia in termini di colorazione (bianchi, rosati, rossi, rossissimi) che di caratteri sensoriali. Di conseguenza i vini bianchi hanno un contenuto in polifenoli inferiore ai vini rossi, con una concentrazione nei primi compresa fra 0,1 a 1 g/l e nei secondi fra 0,5 a 3,5 g/l.
Le sostanze fenoliche si distinguono fra non flavonoidi e flavonoidi (vedasi approfondimento); fra i secondi troviamo le due categorie principali, gli antociani, e i tannini. Gli antociani sono responsabili della colorazione rubino-violacea dei vini rossi, mentre i tannini sono composti fenolici con peso molecolare compreso tra 500 e 3000, che influenzano le sensazioni gustative/tattili (astringenza, struttura), la fissazione del colore (favorendo la formazione dei complessi antociani/tannini) e la conservazione del vino (essendo regolatori dei fenomeni di ossidoriduzione).
Fra le molte variabili che influenzano la qualità dei tannini di particolare importanza è la loro origine, essendo essi contenuti non solo nella buccia ma anche nel raspo e nei vinaccioli oltre che nel legno delle botti usate per la maturazione. In particolare quelli del raspo e dei vinaccioli, ma anche dei legni di bassa qualità o della buccia di uve non mature apportano note aggressive (tannini verdi) e amare (tannini amari).
Riflessi sensoriali
Quantità, tipologia, composizione ed evoluzione di polifenoli influiscono sia sugli aspetti visivi che su quelli gustativo-tattili dei vini (struttura, corpo, astringenza, amaro) del vino. In relazione al peso molecolare (polimerizzazione) e della condensazione con antociani e con i polisaccaridi determinano le sensazioni gustative di volume, struttura, morbidezza, secchezza; se in eccesso o se non particolarmente “nobili” determinano gusto amaro e allappante (gusto-aroma di pelle e cuoio)
Le principali molecole della famiglia dei polifenoli sono:
non flavonoidi:
- acidi fenolici (e loro derivati), acidi benzoidi e acidi cinnamici,
flavonoidi:
A loro volta i tannini si suddividono in:
I tannini sia catechici (provenienti dall'uva) che gallici (provenienti dalle botti) determinano le sensazioni di struttura e in particolare di astringenza. Quest'ultima ha diverse modalità e intensità di manifestazione: si parte da una leggera secchezza delle fauci e passando da una sensazione di allappante si può giungere sino a una fastidiosa impressione “cuoiosa”
Grazie all'ossigenazione, al passaggio in barrique o all'evoluzione in bottiglia i tannini, tendono a polimerizzare determinando
Seppur presente in termini di peso in quantità di circa 0,7 – 1,2 g/l, il contenuto aromatico del vino rappresenta l'elemento determinante per il suo maggior o minor apprezzamento, costituendone l'anima più profonda e per certi versi misteriosa. Le molecole volatili presentano innumerevoli modalità di categorizzazione: tra le varie classificazioni una delle più utilizzate, in quanto collegata al momento della loro formazione, è quella che li vede distinti in:
Aromi primari
Rientrano in questo gruppo tutti quei composti odorosi provenienti direttamente dall'uva, ivi presenti già come molecole odorose oppure come precursori (aromi potenziali) che successivamente evolveranno in veri e propri aromi.
Possiamo riscontrarvi i seguenti gruppi:
Aromi secondari
Fanno parte di questo gruppo tutti i composti odorosi formatisi durante le operazioni di estrazione e condizionamento del mosto (pre-fermentazione) e/o prodotti dall'attività di lieviti e batteri durante la fermentazione alcolica e malolattica.
Fra quelli di pre-fermentazione possiamo annoverare:
Fra quelli da fermentazione alcolica vanno annoverati:
Fra quelli da fermentazione malolattica vanno annoverati:
Sempre presente nei vini, è sostanza che assolve a diverse funzioni svolgendo essa
L'anidride solforosa viene utilizzata in diversi momenti: dalla conservazione di vasi vinari al trattamento delle uve, dall'utilizzo sul mosto a quella sul vino. L’anidride solforosa libera è quella non combinata alle altre sostanze del vino, per cui risulta particolarmente avvertibile all’olfatto e al gusto, soprattutto se presente in dosi superiori a 20-25 mg/l. Anche se la legge prevede al momento della immissione al consumo una dose massima di 160 mg/l per i vini rossi e 200 mg/l per quelli bianchi e rosati, sarebbe importante che la solforosa totale non superi la soglia dei 100-120 mg/l per i bianchi, accettando valori poco più superiori per i vini dolci (funzione antifermentativa).
Riflessi sensoriali
In misura molto contenuta rinforza le sensazioni aromatiche-gustative; se in eccesso genera sensazioni acri, pungenti (cerino, zolfo) sino a diventare in bocca sgradevolmente piccanti e amare. E' spesso la causa principale del classico mal di testa.
L’intrigante momento della degustazione inizia con l’analisi visiva. Questa è particolarmente importante per tutte quelle indicazioni che si possono estrapolare in relazione allo stato di salute, conservazione, evoluzione, struttura e tipologia del vino.
Si procede all'esame dopo aver riempito per un terzo il calice impugnandolo, dallo stelo o dal piede, con il pollice e l'indice e portandolo davanti al campo visivo con una inclinazione a 45° su uno sfondo bianco. Si esamina in questo modo
Osservando il vino mentre lo si versa e roteando lentamente il bicchiere si potrà cogliere
Infine, per i vini frizzanti e per gli spumanti, bisogna valutare l'effervescenza dovuta all'anidride carbonica che si libera nel momento in cui viene versato il vino provocando sia la spuma sia le bollicine o perlage. Nel valutare l'effervescenza si farà attenzione a
Nei vini fermi o tranquilli l'effervescenza, se non desiderata come leggero e intrigante petillant, è invece sintomo di un difetto e denota rifermentazioni avvenute all'interno della bottiglia, facilmente individuabili anche all’olfatto.
Sono molte le variabili che influiscono sul colore di un vino: innanzitutto il vitigno, poi le caratteristiche del terreno, l'annata più o meno favorevole, il grado di maturazione, la vinificazione, l'affinamento, l'età... Il colore rimane comunque il primo indicatore nella valutazione di un vino che va misurato anche in relazione con gli altri aspetti da tenere presente nell'esame visivo. Ecco le scale cromatiche delle diverse tipologie di vino.
Vini bianchi
Da "giallo verdolino" a "giallo ambrato", è vasta la gamma dei colori dei vini bianchi che dipende molto dal vitigno, dalla maturazione delle uve e dall'età: va ricordato che con il passare del tempo il colore dei vini bianchi tende ad aumentare l'intensità. Da tenere sotto controllo i riflessi grigiastri e i colori spenti che sono indicatori negativi.
- Giallo verdolino
E’ un giallo tenue con riflessi verdi, tendenti a diminuire col tempo. Si riscontra in vini giovani e freschi, anche di vendemmia precoce.
- Giallo paglierino
È la più diffusa tonalità del colore giallo chiaro, con differenze anche significative a seconda dell'intensità (più o meno carico).
- Giallo dorato
È un giallo intenso, lo si ritrova in particolari vitigni. È spesso riscontrabile nei riflessi di vini bianchi importanti, di una certa longevità o affinati in legno, o soggetti a un più o meno prolungato appassimento.
- Giallo ambrato
È il colore tipico di alcuni vini passiti, dei vini liquorosi e, comunque, dei vini ottenuti da uve stramature.
Vini rosati
Un'ampia gamma di sfumature per i vini rosati che dipende da quanto a lungo si lascia il mosto a contatto con le bucce. Le tonalità giallo-aranciate sono indicatori di vecchiaia, caratteristica negativa per i vini rosati che sono contraddistinti dalla freschezza e dagli aromi fruttati della giovinezza.
- Rosa tenue
Richiama il colore dei petali della rosa o del fiore di pesco.
- Rosa cerasuolo
È un rosa abbastanza intenso, che ricorda alcune varietà di ciliegie.
- Chiaretto
Più rosso che rosa, ma non raggiunge l'intensità dei vini rossi
- Buccia di cipolla
Un rosa intenso, carico di riflessi che tendono all'aranciato.
Vini rossi
Al contrario dei vini bianchi, nei rossi l'invecchiamento corrisponde a una progressiva diminuzione dell'intensità del colore. Il rosso porpora contraddistingue i vini più giovani, mentre nei vini più invecchiati sono evidenti dei riflessi tendenti all’arancio.
- Rosso porpora
È intenso, con tendenze al viola, tipico del vino giovane.
- Rosso rubino
È il colore più diffuso: un rosso scuro che richiama l'omonima pietra e che contraddistingue i vini da bersi relativamente giovani come indicatore dello stadio evolutivo.
- Rosso granato
Un colore che tende al rosso sangue. È il primo segnale di maturità del vino: tali sfumature indicano un affinamento di almeno un paio d'anni ed una buona evoluzione. Alcuni vini possono già in gioventù manifestarsi con sfumature granate, come nel caso di quelli derivanti da uve Pinot Nero e Nebbiolo.
- Rosso aranciato
Di solito le sfumature arancio richiamano il colore del mattone. È l'indicatore tipico dell'invecchiamento, giusto stadio evolutivo per i grandi vini che sviluppano con l'età il loro massimo, indice di decrepitezza per i vini che non reggono l'invecchiamento.
Il secondo atto della degustazione è l’analisi olfattiva. Ma prima di approfondire questo argomento dobbiamo capire come si origina una percezione di tipo odoroso. Questa nasce per l'attiva interazione con i recettori (specifiche proteine) presenti nella mucosa olfattiva di numerose molecole volatili che, quando inspiriamo (olfazione diretta) o quando mastichiamo un alimento (olfazione retronasale), raggiungono I’epitelio olfattivo sito in fondo alle fosse nasali, trasportandoci in un mondo di vaste sensazioni difficili da tradurre.
Le particolarità del senso dell'olfatto sono moltissime, ma in particolare vanno sottolineate le seguenti:
All'esame olfattivo (ma lo stesso vale per il retrolfattivo), vanno presi in considerazione:
Per l'assaggiatore esperto potrebbero essere aggiunte altre due valutazioni:
"Sentori evidenti di un decalattone con note di acetile, geraniolo e sfumature di paratolimetilchelone". Cosa avete capito? Probabilmente nulla. Ecco perché nell'esame olfattivo di un vino si individuano dei descrittori per analogia con l'oggetto caratterizzato normalmente da quell'odore. Quindi quello di trovare riferimenti alla nostra memoria olfattiva per descrivere gli aromi di un vino non è solo un gioco ma un modo per individuare le caratteristiche olfattive presenti in quel bicchiere.
Esistono diverse classificazioni che catalogano gli odori riscontrati nel vino: estraendo informazioni da diverse proposte di queste (Ruota degli Aromi di Ann Noble dell'Università di Davis, Slow Food , Albero degli aromi del Centro Studi Assaggiatori ecc.) ne proponiamo una nostra:
Aromi floreali
Una sottoclassificazione potrebbe riguardare la distinzione tra profumi da fiori freschi e quelli da fiori essicati, coi primi molto presenti nei vini giovani, in particolare bianchi, e i secondi riscontrabili nel bouquet dei vini invecchiati.
Molto presenti, quindi, nei vini giovani i sentori di acacia, biancospino, gelsomino, caprifoglio, tiglio, glicine, iris, fior d'arancio, rosa, violetta, narciso, ginestra... Nei vini invecchiati, quali quelli a base Nebbiolo, è più probabile l'associazione a fiori essicati, come la rosa o la viola appassite.
Aromi fruttati
Questo è indubbiamente il gruppo con maggior presenza di sottocategorie, con la regola generale, contraddetta da molte eccezioni, che nei vini bianchi è più facile l'associazione a frutti a polpa bianca, in quelli rossi a frutti a polpa rossa. La distinzione potrebbe quindi riguardare i seguenti gruppi:
Al di là dei rimandi analogici, importante individuare dai sentori fruttati la maturità delle uve utilizzate e del vino e, quindi, l'eventuale tendenza verso l'acerbo (agrumi in eccesso, frutta acerba), verso la freschezza (agrumi, frutta bianca e rossa) il maturo (frutta bianca, frutta tropicale, frutta rossa), il molto maturo/passito (frutta cotta o essicata) o la tendenza verso ossidazione (frutta secca, se prevalente nei sentori di noce e mandorla, o la frutta cotta, se di mela cotogna).
Aromi vegetali
Molte sono le sotto-categorie e le differenti manifestazioni sensoriali, che portano gli odori vegetali a caratterizzare sia vini di scarsa qualità (uve immature) che, al contrario, vini complessi e importanti.
Una interessante distinzione potrebbe considerare i seguenti gruppi:
Aromi balsamici
Anch'essi legati a vini importanti, nascono dalla maturazione in legno nuovo e/o nell'evoluzione a determinate condizioni. Ne sono esempi: resine nobili, pino, cedro, incenso, ginepro, sandalo, trementina, canfora.
La fase principale della degustazione è quella che comunemente viene definita come esame gustativo. In realtà il termine gustativo è incompleto se riferito a tutte le percezioni avvertibili nel cavo orale, in quanto il senso del gusto con i suoi quattro (cinque?) sapori, è solo uno dei tre sensi coinvolti durante l'assaggio del vino (e di qualsiasi cibo o bevanda). Molte sensazioni sono recepite dal senso del tatto, così pure risulta errato affermare “gusto di cioccolato” o “gusto di limone” in quanto le percezioni aromatiche di cioccolato o limone (e di tutti gli altri aromi) non sono avvertite dai recettori presenti nelle papille gustative ma da quelli della mucosa olfattiva per via retronasale (come già spiegato sopra).
Gusto
Sono quattro i sapori percepiti da specifiche papille gustative disposte diversamente sulla lingua. Anche se la teoria della geografia del gusto (posizionamento dei sapori su parti specifiche della lingua) sembra non essere così assodata, possiamo comunque affermare, almeno a livello di semplificazione, che il dolce vine percepito prevalentemente in punta, il salato e l'acido tendenzialmente sulle pareti laterali, l'amaro in fondo alla lingua. Da qualche anno si parla di un quinto sapore, l'umami, che ricorda il “sapido” dei piatti della cucina orientale, che fa riferimento specifico al glutammato monosodico (presente, ad esempio, nel dado da brodo), ma nella cultura occidentale si è molto scettici nel considerare un sapore a sé stante.
La scala d'intensità crescente nei quattro sapori fondamentali può essere la seguente:
Rientrano nel gruppo delle sensazioni gustative anche i derivati dei gusti principali, come dolciastro, acidulo, amarognolo, normalmente usati con valenza dispregiativa nella valutazione di retrogusto (sensazioni gustative di ritorno dopo la deglutizione/ espulsione del liquido).
Tatto
In bocca, oltre alle sensazioni meramente gustative, possono essere avvertite molte sensazioni riconducibili al senso del tatto.
Queste sensazioni si possono suddividere in:
(Retr)olfatto
Il senso dell'olfatto è nuovamente coinvolto nella fase “orale” per via retronasale, quando le molecole volatili imprigionate nel liquido una volta in bocca, per effetto del movimento, del calore, dell'umidità, dell'arieggiamento, si liberano e giungono all'epitelio olfattivo per via retronasale, dando origine di nuovo alle relative percezioni di odori.
Proviamo a mettere in bocca una prima quantità di vino per "avvinare" la bocca e poi effettuiamo un sorso più consistente. Tratteniamo il liquido dapprima nella parte anteriore della bocca e poi rilasciamolo in tutta la cavità orale. Gli elementi da prendere in considerazione sono tutti quelli indicati sopra, e in particolare la struttura generale, l'equilibrio, l'intensità delle sensazioni retronasali (aromi) e la persistenza.
Per struttura generale si intende lo spessore, la consistenza e il corpo del vino dato dall'insieme di tutte le sostanze che compongono l'estratto (polifenoli, acidi fissi, sali, zuccheri, glicerina). Per equilibrio di un vino si intende il risultato del rapporto fra “parti morbide” (alcol, glicerina, zuccheri residui) e “parti dure” (acidità e, nei rossi, astringenza.
Per intensità delle sensazioni retronasali si intende il complesso delle sensazioni gusto olfattive percepite in via indiretta dopo aver fatto ruotare il vino in bocca e deglutito. Non dimentichiamo infatti che l'olfatto gioca un ruolo fondamentale nel complesso delle sensazioni avvertite in bocca; più le impressioni sono facilmente percepibili e identificabili più intensa e nitida sarà la sensazione retronasale.
Infine la persistenza ci indica la durata delle sensazioni gusto-olfattive del vino: tanto più permangono, tanto maggiore sarà la persistenza del vino. Si può parlare di persistenza gustativo/tattile o di persistenza aromatica a seconda che ci si riferisca al perdurare delle sensazioni sapide (dolce, salato, acido, amaro) e tattili (astringenza, pungenza, calore, freschezza) oppure a quelle di tipo retrolfattivo (fruttato, floreale, vegetale ecc.).
Il palato dovrà confermarci i descrittori riscontrati al naso e fornircene di nuovi, sempre richiamando le analogie elencate per l'esame olfattivo. Sono le sensazioni di tipo aromatico, infatti, che "comandano": provate ad assaggiare qualsiasi cosa tappandovi il naso e la sensazione complessiva che ne percepirete sarà notevolmente inferiore, come accade quando si ha un forte raffreddore.
Alle volte può accadere di percepire degli odori sgradevoli che costituiscono i difetti del vino.
Vi sono fattori che favoriscono, pur non essendone la causa, l'insorgenza di problemi rappresentando essi il sintomo di debolezza o instabilità del vino, come
Il più classico è l'odore di tappo percepibile già al naso ma in modo ancora più netto al gusto, trasmesso al vino dal sughero attaccato da funghi parassiti (molecola del tricloroanisolo o TCA).
Un altro difetto può essere l'odore di rifermentazione e di feccia (uno sgradevole sentore quasi di fogna o di flatulenza) che proviene da un contatto eccessivamente protratto del vino con fecce ormai sporche e ossidate o in vini che hanno visto una rifermentazione non voluta, e quindi non controllata, in bottiglia (accade spesso nei vini acquistati in damigiana e imbottigliati da sé).
Un altro difetto può essere provocato da batteri che si sviluppano in botti mal conservate e non pulite con appositi antisettici (odore di legno secco o marcio), o da uve non perfettamente sane facendo avvertire sentori farmaceutico o tintoria.
L'odore di ossidato (marsalato o maderizzato) è dovuto a un eccessivo contatto con l'ossigeno. È un processo irreversibile e costituisce un grave problema tranne per i vini che fanno dell'ossidazione la loro principale caratteristica (come, per l'appunto, il Marsala).
Un altro difetto facilmente riscontrabile è quello di ridotto (è un odore di chiuso) percepibile in quei vini che hanno subito un affinamento in bottiglia o comunque in ambienti privi di ossigeno. Talvolta scompare o si attenua, se si fa ossigenare il vino.
L'odore di zolfo è provocato da un uso eccessivo di anidride solforosa; avvertibile sia al naso sia in bocca e associabile all'odore di un cerino e a quello della lana bagnata.
E' poi possibile riscontrare odore di uova marce (idrogeno solforato), difetto irrimediabile che si forma a causa di una aggiunta eccessiva di metabisolfito di potassio prima della fermentazione; può anche essere dovuto a un processo di riduzione durante la fermentazione alcolica.
L'odore di aceto, o spunto acetico, è dovuto alla presenza, oltre limiti accettabili, di acido acetico (acidità volatile) ma si manifesta, a livello olfattivo, per la correlata formazione di acetato di etile a causa dell'attività di batteri acetici (ambiente aerobico, blocchi di fermentazione ecc.)
Un difetto sempre più rilevante nei vini, in particolare in quelli rossi, si manifesta con l'odore di sudore di animale o stalla, ed è collegato alla presenza di etilfenolo da fermentazione di lieviti Brettanomyces (in gergo il difetto è chiamato Bretty). I vini derivanti da alcune varietà (come Cabernet o Lagrein) ma soprattutto le condizioni di contaminazione dei recipienti di legno (barrique ecc.) possono causare la comparsa e il diffondersi di questo difetto nei vini in essi maturati.
Anche la nota troppo marcata di peperone, caratteristica dei vitigni bordolesi come Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot, così come un dominante odore di pipì di gatto di alcuni Sauvignon, non vanno considerate, come da molti sostenuto, delle note tipiche dei rispettivi vitigni quanto dei veri e propri difetti causati, nella quasi totalità dei casi, dalla non raggiunta maturità aromatica delle corrispondenti uve.
Un vino si degusta al meglio quando si è in buone condizioni fisiche e mentali. È tempo sprecato effettuare una degustazione quando si ha mal di testa, lo stomaco fuori posto oppure si è di corsa per qualche impegno. L'ora migliore è la tarda mattinata, a stomaco vuoto, quando si inizia ad avere un po' di appetito e tutti i sensi sono "all'erta". Bisognerebbe avere la cavità orale "pulita" da caramelle o da sigarette, così come andrebbero evitati profumi e cosmetici. Importante anche la sequenza di assaggio: questa deve andare dai vini più leggeri e meno invecchiati in poi, per evitare di alterare i sensi. Tra un vino e l'altro, per "pulire" la bocca, è possibile mangiare un pezzo di pane o un grissino, assolutamente "neutri".
Infine, non fatevi condizionare e non condizionate gli altri. Non vogliamo con questo dire che in degustazioni non ufficiali si debba seguire un cerimoniale rigido e silenzioso, ma soltanto che spesso il giudizio altrui (soprattutto di gente che riteniamo più esperta di noi) può condizionarci. Nel compiere l’analisi organolettica di un vino usate calma e attenzione, tenendo presente che esistono innumerevoli tipologie di vini, prodotti da un numero sterminato di vitigni, nelle più disparate regioni del mondo. La bravura di un assaggiatore non dipende dalla sua capacità di identificare correttamente il nome del vitigno, la sua età, l'area di provenienza o il nome del produttore, ma risiede nella sua abilità a descrivere e misurare in maniera chiara, puntuale e comprensibile le proprie percezioni visive, olfattive, gustativo/tattili e retrolfattive. A questo punto, e solo a questo punto, sarà possibile, anche in base alla propria esperienza di assaggio e ai punti di riferimento formatisi nel tempo, risalire all'identificazione corretta dell'origine del vino e delle modalità produttive.
Basta con le corse all'ultimo minuto per procurarsi il vino prima di una cena. Basta con splendidi pasti accompagnati da miscugli di bottiglie (nella maggior parte dei casi anche buone) portate dagli invitati. È giunto il momento di farsi una cantina, anche solo una piccola scorta ma che, se accompagnata da un minimo controllo su qualità e varietà del vino, basterà ad assicurarvi una collezione sempre pronta ad accompagnare le più importanti occasioni gastronomiche o anche una semplice serata tra amici.
Quali vini scegliere
La scelta di quali vini tenere in cantina è il momento più divertente. Cercate sempre di degustare i vini che intendete acquistare e cercate di comprarne almeno 6 bottiglie: ciò vi garantirà una sufficiente scorta e la possibilità di stapparne un'altra qualora vi venga richiesto da qualche invitato. Inoltre è interessante vedere l’evoluzione del vino nel tempo e quindi capirne fino in fondo il reale valore globale.
È meglio non tenere grandi scorte di vini da bersi giovani, che non hanno potenzialità di invecchiamento. I vini importanti, che reggono un affinamento in bottiglia, vanno invece periodicamente controllati.
Il vino è una creatura vivente: anche lui attraversa le fasi di gioventù, maturazione e vecchiaia, periodi che possono essere talvolta brevi talvolta prolungati e dipendono da molti fattori. Diventa importantissimo quindi un monitoraggio per capire quando e come consumarlo. Bere un vino in fase senescente può essere un'esperienza traumatica. Stappare una bottiglia ancora giovane, invece, è solo un peccato veniale, facilmente rimediabile.
Un'ultima annotazione, non siate "egoisti" seguendo solo i vostri gusti personali: chi ama invitare amici farà meglio a cautelarsi con una scelta ampia e diversificata, che comprenda tipologie adatte a tutti gli eventi e le pietanze, dall'aperitivo al dolce.
La giusta dislocazione
È sempre preferibile conservare il vino in ambienti sotterranei, ma non tutte le cantine sono adatte allo scopo. Pareti coperte di muffa, ragnatele e polvere possono ispirare un senso di romantica "anzianità", ma per il vero amatore sono un chiaro sintomo di una condizione di umidità eccessiva. Per ovviare a questi inconvenienti e proteggere soprattutto l’etichetta si può avvolgere la bottiglia con una pellicola trasparente.
Tenete presente che i danni peggiori al vino li causano i forti sbalzi di temperatura. Le condizioni termiche ideali per l’invecchiamento prevedono un range tra i 15°C – 20°C. Altrettanto pericolose sono le infiltrazioni di luce, l’eccessiva umidità, e vibrazioni, anche sonore, eccessive.
Nella cantina ideale deve scorrere più acqua che vino. È un detto antico, tuttora validissimo che avvalora la grande importanza della pulizia del locale. Le bottiglie vanno estratte dalla loro confezione, spolverate con un panno asciutto e coricate. Il vino deve infatti restare in contatto con il tappo, se ciò non accade rischia di asciugarsi troppo e di non riuscire più a garantire una buona chiusura. Per sistemare le bottiglie sono molto utili le scaffalature oggi presenti in commercio: hanno prezzi abbordabili e occupano poco spazio. Nella scelta della scaffalatura tenete presente che il peso medio di ogni bottiglia è di circa 1,5 kg.
È buona norma collocare negli scaffali i vini bianchi in basso, dove la temperatura è più fredda, e i rossi ai piani alti, più caldi: i vini verranno così conservati a una temperatura più vicina a quella a cui dovranno essere serviti.
L’intervallo di temperatura ottimale per assaggiare la maggior parte dei vini va dai 5° C ai 20° C , anche se in casa sono più le stagioni ad influenzare le condizioni di degustazione. Non bisogna considerare questi parametri rigorosi ma consigli ideali per poter apprezzare al meglio il nettare di Bacco.
Come regole generali quindi teniamo presente che: più la temperatura diminuisce meno le papille gustative sono sensibili (sotto i 4°C diventano praticamente insensibili), le temperature più basse accentuano le sfumature acide e tanniche mentre quelle più alte esaltano le percezioni dolci, aromatiche ed alcoliche (ma pure i difetti odorosi!).
Ecco quindi alcuni suggerimenti da mediare con considerazioni legate alla stagione (un po' più freschi d'estate, un po' più caldi d'inverno), alla temperatura dei cibi (freschi se cibo freddo, un po' più caldi se piatto é a sua volta caldo o bollente):
I vini che vanno serviti a una temperatura più bassa sono i vini spumanti intorno ai 6°C - 8°C.
Così come in cucina la presentazione e la decorazione del piatto è diventata fondamentale anche lo stile e la ricercatezza nell’apparecchiatura sono oggi molto importanti.
Il bicchiere è forse l’elemento decorativo simbolo di questa nuova tendenza rappresentando inoltre uno strumento tecnico impagabile per apprezzare al meglio il vino. Si utilizzano normalmente forme a calice per permettere la presa attraverso lo stelo e non influire sulla temperatura del liquido contenuto. La forma del contenitore viene determinata da un rapporto tra bocca, pancia (la parte mediana) e base. Agendo su queste tre dimensioni si possono ottenere così infinite forme capaci ciascuna di caratterizzare positivamente o negativamente il vino influenzando soprattutto la forma della lama di vino che arriva sulla lingua.
I vini bianchi freschi e aromatici vanno serviti in bicchieri slanciati a gambo lungo con bordo leggermente svasato, caratteristica che consente di contenere alla base i profumi e di farli meglio fuoriuscire all'apertura del calice. Caratteristica che si evidenzia ulteriormente nella coppa, ideale per gustare spumanti dolci e vini dolci a fermentazione naturale.
La coppa non è invece il bicchiere ideale per gli spumanti secchi: vanno infatti degustati, se da soli, in bicchieri allungati tipo flûte ed è questo l'unico caso in cui il bicchiere va riempito per intero (per altri vini riempite il bicchiere per un terzo circa). Questo tipo di calice consente meglio di altri la valutazione del perlage (intensità, persistenza e finezza delle bollicine) anche se tende in fase olfattiva ad accentuare troppo l'impatto “pungente” dell'anidride carbonica. E' quindi preferibile, soprattutto se abbinato con pietanze saporite, utilizzare dei bicchieri a tulipano ampio capaci di esaltarne la pienezza, la struttura e la complessità.
Vini bianchi più importanti prediligono un bicchiere più grande, con gambo lungo e leggermente stretto nella parte bevente per poter, in questo caso, contenere aromi più complessi.
Vini rosati e rossi giovani vanno serviti in bicchieri a oliva che si restringono leggermente verso l'alto per mantenere così in evidenza i profumi fruttati e primari.
Anche per i rossi più si sale di complessità più il bicchiere dovrà essere ampio e permettere una buona ossigenazione.
I vini passiti, liquorosi, richiedono dei calici più piccoli e comunque diversi a seconda dell’abbinamento e in funzione della temperatura di servizio.
Chi non vuole affollare la propria credenza con decine di bicchieri può puntare sul cosiddetto bicchiere a tulipano, possibilmente un po' più grande (ma della stessa forma) del prototipo proposto nelle degustazioni ufficiali e adatto per qualsiasi tipo di vino. Ha la forma del fiore da cui prende il nome e si restringe verso la sommità permettendo al naso quasi di tappare l'apertura percependone al massimo l'intensità odorosa.
E il decanter? Nel servizio di vini rossi giovani o mediamente invecchiati esso risulta inutile (anche se indubbiamente bello e trendy), mentre qualche utilità la può manifestare nel servizio di vini dal lungo invecchiamento, ma solo allo scopo di evitare di versare sedimenti e non certo per rimanervi a riposare per diverse ore (così se ne vanno gli aromi fini che hanno impiegato anni a formarsi!) Il giusto bicchiere, soprattutto se ampio (come dovrebbe essere per i vini rossi) e se usato per il versamento in breve anticipo, garantisce in maniera ineccepibile la corretta ossigenazione del vino senza avere il rischio di perdere il momento ottimale di degustazione a causa dell’eccessivo contatto con l’aria.
Come servire i vini? Aldilà dell'abbinamento ideale, c'è una precisa sequenza da rispettare per evitare che le papille gustative si saturino o che sensazioni importanti si possano sovrapporre o comunque contrastare.
La sequenza dovrebbe seguire queste regole di servizio:
Chiaramente ognuna di queste regole, proprio per la sovrapposizione dei caratteri dei vini, contengono al loro interno delle eccezioni, come proposto qui sotto:
Al di là di regole ed eccezioni di cui sopra, altro importante elemento, se non il più rilevante, nella scelta della sequenza dei vini è dato dall'abbinamento coi cibi (vedasi capitolo 7). Un primo piatto molto profumato richiede un vino particolarmente aromatico, il quale può quindi precedere un vino meno aromatico ma più adatto ad accompagnare il piatto successivo.
In sostanza, per la giusta sequenza occorre conoscenza delle regole e un pizzico di creatività: anche i grandi campioni dello sport o i grandi artisti sono in grado di inventare capolavori usando fantasia e creatività, ma solo dopo che hanno appreso con dura lavoro e allenamento le regole e le basi dei relativi campi di azione.
L'etichetta rappresenta la carta d'identità dei vini, lo strumento che dovrebbe rendere possibile ritrovare le informazioni necessarie per conoscere sia le caratteristiche di ciò che si acquista che altre informazioni utili per il suo corretto utilizzo.
Una prima importante indicazione in etichetta è rappresentata dalla classificazione in vino da tavola, vino a Indicazione Geografica Tipica (IGT), vino a Denominazione di Origine Controllata (DOC) e vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) (vedasi capitolo 1.5.1). Si possono trovare sigle come VQPRD (Vino di Qualità Prodotto in Regioni Determinate), o VSQPRD (Vino Spumante di Qualità Prodotto in Regioni Determinate) che accompagna le Doc o Docg.
Tralasciando indicazioni formali, anche se importanti, come il volume nominale (tipo 0,75 l), il nome e indirizzo dell'imbottigliatore, il numero di lotto e altre indicazioni, ciò che possiamo ulteriormente trovare sono:
Vi sono oltre delle indicazioni ulteriori riscontrabili molto spesso in etichetta nei vini Doc e Docg (quando previste dal disciplinare), quali
Sono considerati speciali le seguenti tipologie di vini:
I vini passiti
Sono in tal modo chiamati i vini ottenuti da uve soggette a periodo di parziale disidratazione con conseguente concentrazione di alcune sostanze (zuccheri in primis, ma anche acidi, aromi ecc.) attraverso
Dal punto di vista sensoriale si caratterizzano per l'elevata presenza di zucchero (vini dolci) o l'elevata gradazione alcolica naturale, se secchi (come il caso dell'Amarone della Valpolicella o dello Sfursat della Valtellina) oltre che una struttura elevata (estratto secco totale), morbidezza (glicerina) e caratteri aromatici peculiari (note di marmellata, frutta cotta, frutta candita, frutta sciroppata, miele, caramello ecc.).
I vini liquorosi
Sono prodotti aggiungendo alcol neutro o acquavite al mosto d'uva in fermentazione o al vino finito. In alcuni casi (vedasi Marsala) è ammessa l'aggiunta di mosto d'uva concentrato, mosto cotto o mosto parzialmente fermentato. Loro caratteristica principale risiede nell'elevata gradazione alcolica (da 16% a 22%) accompagnata da un più o meno alto tenore zuccherino, funzione del momento in cui è avvenuto l'aggiunta di alcol (se aggiunto in fermentazione si avranno ancora zuccheri residui, se sul prodotto finito il vino sarà secco).
I più rinomati vini liquorosi sono il Marsala, il Porto e il Madeira. Nel Marsala la distinzione in funzione degli zuccheri residui è la seguente:
I vini aromatizzati
Sono considerati aromatizzati i vini a cui sono stati addizionati alcol, zuccheri, sostanze aromatizzanti e amaricanti, spezie, erbe aromatiche, eventualmente anche edulcoranti e caramello, allo scopo di conferire al vino aromi e sapori particolari. Fra i principali vini aromatizzati troviamo il Barolo Chinato, l'Ala Amarascato e il Vermut (Vermouth).
Il vino, consumato frequentemente e in dosi moderate, ha notevoli proprietà benefiche per la salute. E' ormai largamente condivisa in campo enologico ed igienico-sanitario, la teoria che il vino abbia una notevole azione cardioprotettiva. Studi epidemiologici e prove sperimentali condotte sull'uomo hanno dimostrato che il vino rosso riduce l'incidenza dell'arteriosclerosi coronarica più di ogni altra bevanda alcolica. Successive indagini hanno altresì provato che i polifenoli hanno una potente azione antiossidante capace di inibire la formazione di lipoproteine ossidate (LDL) nell'uomo.
Gli studiosi sembrano unanimemente concordi nell'attribuire tale importante azione terapeutica principalmente al resveratrolo, un componente della famiglia chimica degli stilbeni, contenuto nella buccia dell'uva allo scopo di indurre nella bacca un tipo di resistenza ad infezioni da funghi. Tale sostanza, presente in particolare nei vini rossi e/o nei vini soggetti a vendemmia tardiva o appassimento, una volta assunta si deposita nella cellula rallentando la sua respirazione, come avviene negli animali in letargo. Ciò comporta un risparmio di energia consentendo alla cellula di vivere più a lungo producendo meno scorie, fra cui i radicali liberi, con evidente effetto antivecchiaia e antiossidante.
Dal punto di vista della genuinità e della qualità, il contenuto delle sostanze fenoliche, espresso mediante "l'indice di Folin-Ciocalteu" unitamente al "profilo cromatico" del vino fornisce elementi di giudizio di grande utilità.
La cosa che ogni gourmet spera di trovare in un ristorante oltre ad uno stuzzicante menu è una interessante carta dei vini. Quest’ultima è un indice di professionalità e di attenzione verso il consumatore che va al ristorante non per solo appetito ma per incontrarsi con gli amici e per divertirsi attraverso i sapori della buona tavola. La carta deve contenere i vini elencati secondo un ordine razionale (vini spumanti, vini bianchi, vini rossi, vini da dessert) possibilmente con indicazioni specifiche della zona d’origine, del nome del produttore, dell’annata, del vitigno, ecc. In mancanza di tempo, e soprattutto di pazienza, si può sempre ricorrere al cameriere o ancora meglio al sommelier. Quest’ultimo è una figura importantissima, ultimo ambasciatore del mondo del vino e delle sue variopinte sfaccettature. Inoltre per lui sarà un vero piacere raccontare della sua cantina e dei vini che gelosamente ha accantonato. Il vostro interesse per lui sarà molto gradito e vi permetterà sicuramente di ricevere tutte le informazioni necessarie.
Lasciarci consigliare è quindi il modo più semplice per scegliere un vino ma ancor più divertente è scoprire continuamente abbinamenti, sapori e profumi che il panorama enologico e gastronomico del locale ci offrono. La scelta inoltre dipende anche molto dal piatto ordinato, dalle situazioni, dal nostro umore, dalla compagnia e perché no anche dai prezzi.
Oggi sempre più spesso ci vengono proposti vini del territorio in abbinamento con le specialità del luogo ed in alcuni casi molto opportunamente offrono la possibilità del servizio a bicchiere. Questo ci permette di poter assaggiare più vini e di poter così assecondare le particolari sfumature delle ricette.
Nel caso poi in cui assaggiando il vino non lo trovassimo corrispondente alle nostre aspettative chiediamo senza esitazione l’aiuto del sommelier. Ricordiamoci sempre che la tavola è il simbolo della piacevolezza e della convivialità; non permettiamo quindi che un vino difettoso rovini magari un incontro importante.
Il vino trova la sua massima valorizzazione nella funzione di ministro (cioè servitore) della tavola, grazie alla naturale capacità, quando correttamente scelto, di animare il cibo senza risultare né invadente né arrendevole, pulendo la bocca fra un boccone e l'altro ravvivando, così, il desiderio del boccone successivo.
Se il criterio della soggettività nella scelta degli abbinamenti è fuori discussione, altrettanto assodato è il fatto che determinati matrimoni risultano più riusciti di altri e più di altri stimolino il piacere del buon vivere. A tale scopo diamo qui una indicazione di massima sui possibili criteri di selezione dei vini in funzione del cibo da accompagnare, portando ad esempio alcuni casi classici di accostamento, nella convinzione, che, comunque, anche a causa dell'imprevedibile manifestazione sensoriale di molti cibi, fantasia e ingegno personali possano arrecare ulteriore interesse e godimento nell'abbinamento cibo-vino.
I criteri di fondo possono essere così riassunti:
I primi due criteri rappresentano “criteri universali”, nel senso che sono applicabili sia insieme che indipendentemente dalla scelta fra i due successivi (contrapposizione o similitudine), criteri questi fra loro alternativi.
Abbinamento secondo tradizione
Consiste nell'accostare ai piatti di una regione i vini classici della stessa zona in una logica di affinità di sapori e profumi e di valorizzazione delle produzioni locali.
Abbinamento secondo stagione
Questa logica di abbinamento prevede il servizio di vini adatti al periodo in cui ci si trova, come bianchi freschi in estate, vino novello in autunno o vini rossi in inverno; una simile proposta trova una corrispondente alternativa nell'adeguamento delle temperature di servizio, con vini serviti leggermente più freschi di estate e meno freschi d'inverno.
Abbinamento per contrasto di sapori
Rappresenta la regola generale di abbinamento, anche se vi sono diverse eccezioni, e consiste nel proporre vini dalle caratteristiche “opposte” a quelle dei cibi, nella logica dell'obiettivo di pulizia della bocca e della predisposizione al piacere del boccone successivo.
In sostanza
Abbinamento per similitudine di sapori / struttura / intensità-persistenza aromatica
L'abbinamento per similitudine si ha in quei casi dove, per il perfetto equilibrio delle sensazioni, sia necessaria una assonanza fra caratteri del cibo e del vino, come
Aperitivi
Bene si adattano i vini bianchi secchi e i frizzanti/spumanti non dolci (Brut ed Extra-Brut), in quanto la loro acidità e, nei secondi, la presenza di CO2 favoriscono la secrezione di succhi gastrici che predispongono l’organismo alla ricezione di cibo.
Antipasti
Simile discorso degli aperitivi, anche se qui la struttura dei vini bianchi dovrebbe aumentare, soprattutto se vi sono antipasti di molluschi o crostacei. E’ possibile introdurre vini rosati o rossi leggeri in presenza di antipasti di salumi (salame ed altri), anche se i vini bianchi strutturati e aromatici possono abbinarsi perfettamente.
Minestre
Anche se qualcuno ha proposto di accompagnare le minestre solo con acqua, il vino rappresenta ancora il miglior compagno per assaporare un buon brodo (vino bianco secco), o una minestra di verdure (vino rosato o rosso giovane) o minestre rustiche particolarmente saporite (rossi di media struttura).
Pastasciutte /Risotti
La scelta del vino è funzionale al tipo di ripieno e/o di condimento utilizzato. Se la preparazione ha previsto verdure, vanno bene vini bianchi leggeri e beverini, se a base di pesce si abbineranno vini bianchi di una certa struttura, se a base di carne si passerà a vini rossi più o meno vigorosi a seconda della maggior o minor particolarità del condimento stesso (es. ragout o cacciagione).
Pesce
Se a grandi linee è giusto il detto che al pesce si abbina il vino bianco, è pur vero che esistono sia vari tipi di vino bianco che le eccezioni alla regola. Si può seguire, a seconda delle occasioni un doppio criterio di selezione per la scelta dell’abbinamento: per tipologia di pesce e per cottura/condimento.
In base alla tipologia,
In base alla cottura o alla salsa utilizzata,
Vi sono cibi che per le loro caratteristiche peculiari non consentono o, almeno, rendono difficile l'abbinamento con qualsiasi vino, richiedendo l'utilizzo di acqua o di altre bevande (es. birra).
Limitandoci ai casi più classici ritroviamo: